Tokyo, 19 dicembre 2025 – Dal 2026, Toyota metterà in vendita in Giappone alcuni modelli prodotti negli Stati Uniti, un cambiamento importante nei rapporti tra la casa automobilistica più grande del Paese e il suo mercato interno. La decisione, annunciata all’alba dal quartier generale di Aichi, nasce anche – come ammesso dagli stessi vertici – sotto la spinta delle continue pressioni dell’amministrazione Trump sul tema del deficit commerciale tra Washington e Tokyo.
Toyota apre il mercato interno alle vetture made in USA
Una mossa che ha colto di sorpresa molti nel settore. Finora, infatti, le auto Toyota vendute in Giappone arrivavano quasi sempre dagli stabilimenti locali o, in qualche caso, da impianti asiatici. Adesso cambierà tutto. In una nota diffusa alle 8 del mattino ora locale, l’azienda ha spiegato che «l’integrazione globale delle nostre filiere produttive è ormai un passaggio obbligato per rispondere sia alle esigenze del mercato sia al contesto internazionale». Il presidente Akio Toyoda ha definito questa fase «sperimentale», riguardante inizialmente «alcuni modelli destinati a una clientela selezionata».
Sul campo, le prime Toyota americane a comparire nei concessionari giapponesi saranno i SUV RAV4 e Highlander. Entrambi sono oggi prodotti negli stabilimenti del Kentucky e dell’Indiana. L’arrivo è previsto tra marzo e giugno 2026.
Pressioni politiche e bilancia commerciale
Dietro questa novità c’è uno scenario complicato. Secondo l’Ufficio del Rappresentante per il Commercio di Washington, negli ultimi cinque anni gli Stati Uniti hanno registrato un deficit medio annuo di 67 miliardi di dollari nel commercio di beni con il Giappone. Una cifra in calo rispetto al passato ma ancora molto rilevante nei rapporti tra i due Paesi. La Casa Bianca, guidata da Donald Trump fino al gennaio 2025 e tornata a sollevare la questione nel suo ultimo anno di mandato, aveva chiesto «azioni concrete» per riequilibrare lo scambio commerciale. Il tema è stato protagonista anche nei negoziati tra i Ministeri dell’Economia di Tokyo e Washington.
Toyota ha sottolineato la volontà di «mostrare apertura» verso il mercato globale. Ma dietro le quinte – secondo fonti interne – questa scelta è anche «una risposta alle pressioni politiche» per ridurre la dipendenza dalle esportazioni e rafforzare il valore della produzione americana.
Impatto sul mercato giapponese e sulle fabbriche locali
La notizia ha già acceso dibattiti accesi tra sindacati e associazioni di categoria in Giappone. La Japan Auto Workers Union – che rappresenta gran parte degli operai Toyota negli stabilimenti nipponici – ha espresso «preoccupazione» per possibili effetti sui posti di lavoro locali. Un delegato sindacale di Toyota Tsusho incontrato fuori dalla sede aziendale di Nagoya stamane alle 10:30 ha commentato: «Dobbiamo capire quali saranno i volumi coinvolti e se ci saranno ripercussioni dirette sulle linee produttive giapponesi».
Il governo giapponese, interpellato dal quotidiano Nikkei, ha invece evitato commenti nel merito. Per alcuni esperti – come Naoto Yamaguchi dell’istituto Jetro – questa mossa potrebbe spingere altri marchi giapponesi a seguire strategie simili nei prossimi anni.
I dettagli logistici: tempi e numeri
Non si conoscono ancora le quantità precise previste nella fase iniziale. Toyota parla genericamente di «volumi limitati» per testare la reazione dei clienti giapponesi. Ma secondo alcune indiscrezioni riportate da Nikkei Asia, i primi esemplari potrebbero aggirarsi tra 3.000 e 5.000 veicoli all’anno per modello. Le auto verranno adattate agli standard locali – con guida a destra e dispositivi di sicurezza conformi alle norme giapponesi – prima della vendita.
L’arrivo nei concessionari è atteso per la fine della primavera prossima. Le reazioni del mercato verranno seguite con attenzione: Toyota ha annunciato che valuterà trimestralmente vendite e gradimento dei clienti, lasciando aperta la porta a un possibile aumento o riduzione della produzione a seconda dei risultati.
Una decisione che guarda al futuro
Dietro questa scelta c’è anche uno sguardo verso una globalizzazione delle filiere produttive che non può più ignorare la realtà politica dei mercati. In una telefonata con Alanews, il professor Hideo Sato dell’Università di Waseda ha detto chiaramente: «Le grandi aziende non possono più ragionare chiuse dentro ai confini nazionali. Questa mossa è un segnale forte». Forse non rivoluzionerà tutto dall’oggi al domani, ma agli occhi degli addetti ai lavori rappresenta un banco di prova importante per l’industria automobilistica giapponese e per i suoi rapporti commerciali con il mondo intero.