Sakè Italiano ai Piedi delle Dolomiti: Prima Esportazione in Giappone con Lievito del Prosecco

Sara Gelmini

10 Dicembre 2025

Trento, 10 dicembre 2025 – È realtà la prima esportazione di sakè italiano in Giappone. A darne conferma sono gli imprenditori locali, che celebrano un traguardo importante per l’agroalimentare nazionale. Dietro questo successo c’è una piccola azienda che da anni lavora ai piedi delle Dolomiti, decisa a farsi strada in un mercato tradizionalmente lontano, ma sempre più interessato a prodotti di qualità e dallo spirito innovativo.

Sakè trentino, un viaggio lungo fino al Sol Levante

Lunedì mattina, verso le 7.30, nei pressi di San Michele all’Adige, sono state caricate le prime casse dirette a Tokyo. Il punto di partenza è “Dolomiti Sake”, fondata nel 2018 da Fabio Rizzi e dalla moglie Yukiko, originaria di Kyoto. Lui enologo, lei esperta nelle fermentazioni tipiche giapponesi. “Aspettavamo questo momento da tanto tempo,” dicono in coppia. “Vendere il nostro sakè in Giappone è come chiudere un cerchio.”

Dietro questa spedizione c’è il lavoro di una decina di persone: etichette in giapponese, confezioni personalizzate con il logo delle Dolomiti, tutta la documentazione necessaria per l’export. “Non è stato semplice arrivare a questo punto,” ammette Rizzi. “Solo per ottenere i permessi abbiamo impiegato quasi un anno. E poi c’è una forte concorrenza: i produttori giapponesi sono molto esigenti sulla qualità.”

Nato tra i vigneti: il sakè che unisce due culture

La storia di “Dolomiti Sake” parte sei anni fa, tra le vigne e le montagne dell’Altopiano della Paganella. Qui, tra il legno delle botti e il profumo del riso Carnaroli scelto con cura, Fabio e Yukiko hanno deciso di puntare su un prodotto che unisce due mondi apparentemente distanti. “Usiamo ingredienti locali,” spiega Yukiko, “ma seguiamo la tradizione giapponese. Il riso arriva dal Veronese, l’acqua è quella limpida delle nostre sorgenti.”

Non è solo una curiosità. Il loro sakè italiano ha già vinto nel 2024 un premio alla “Sake Selection by Concours Mondial” a Parigi. E l’interesse cresce, tra ristoratori e distributori, anche fuori dall’Italia.

Tokyo apre le porte: ecco le prime reazioni

Il carico arriverà nella capitale giapponese entro fine dicembre. Qui “Shinjuku Liquor”, un grossista specializzato in prodotti esteri, si occuperà della distribuzione. “C’è molta curiosità,” dice Hiroshi Matsumoto, responsabile acquisti. “Abbiamo provato i campioni la scorsa estate. Il sapore è diverso dai sakè giapponesi: più morbido, con note di frutta bianca e fiori secchi.”

In città, intanto, alcuni ristoranti italiani hanno già iniziato a proporlo. Tra questi “Osteria della Luna” a Shibuya, che lo ha inserito in carta a novembre. Il titolare, Marco De Vito, spiega: “Lo abbiniamo a piatti di pesce e risotti. I clienti giapponesi rimangono sorpresi: non si aspettavano un prodotto così equilibrato fatto fuori dal Giappone.”

Tra ostacoli e ambizioni: la sfida per il futuro

La strada è in salita. Secondo la Japan Sake and Shochu Makers Association, il Giappone importa meno del 3% del sakè consumato ogni anno e i marchi stranieri faticano a farsi strada. Il mercato vale circa 700 milioni di euro all’anno, ma la concorrenza interna è fortissima.

“Entrare in questo mondo vuol dire rispettare regole non scritte,” dice Rizzi. Solo dopo una serie di controlli su qualità, provenienza degli ingredienti e metodi di produzione, arriva il via libera alle spedizioni. La prossima tappa potrebbe essere Osaka, forse in primavera 2026.

Non è solo un affare commerciale. “Per noi è una sfida culturale,” aggiunge Yukiko. “Facciamo conoscere l’Italia attraverso un bicchiere diverso, ma autentico.” Il sogno più grande? Vedere il loro sakè italiano sulle tavole dei ryokan tradizionali giapponesi.

L’avventura è iniziata con le prime luci dell’inverno trentino. E già in Giappone c’è chi stappa, curioso, queste bottiglie arrivate da lontano.

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