Tokyo, 29 dicembre 2025 – Da Paolo Miki, primo sacerdote giapponese martirizzato, alle centinaia di fedeli caduti durante le persecuzioni, la storia del cristianesimo in Giappone si dipana su oltre tre secoli di contrasti, paure e resistenze silenziose. Un percorso che ancora oggi emerge, tra cerimonie e racconti, nei luoghi dove tutto ebbe inizio.
Le origini del cristianesimo nel Sol Levante
Il cristianesimo sbarcò in Giappone nel 1549 grazie a Francesco Saverio, gesuita basco arrivato a Kagoshima. All’epoca, l’arcipelago era diviso da lotte tra clan ma mostrava anche una certa curiosità verso l’Occidente. Saverio e i suoi riuscirono a conquistare la fiducia di alcuni signori locali: in pochi decenni, le conversioni superarono le 300 mila persone, come raccontano le fonti gesuitiche negli archivi di Roma.
Tuttavia, quel clima cambiò nel 1587. Il reggente Toyotomi Hideyoshi, preoccupato per l’influenza straniera e per il rischio di frammentazione del potere, ordinò l’espulsione dei missionari e proibì il culto cristiano. Ma quello fu solo l’inizio.
Le persecuzioni e il martirio di Paolo Miki
Il momento più noto di questa dura repressione avvenne il 5 febbraio 1597, quando a Nagasaki vennero crocifissi ventisei cristiani, tra cui Paolo Miki. Figlio di un samurai di Osaka, laureato al collegio dei gesuiti e noto per i suoi discorsi appassionati, Paolo fu portato insieme ad altri religiosi e laici – giapponesi e stranieri – in una marcia forzata lunga più di 900 chilometri da Kyoto a Nagasaki. Il viaggio fu segnato dal freddo intenso e dalla scorta armata. Arrivati sul colle Nishizaka, furono legati alle croci e trafitti con lance di bambù. Una cronaca dell’epoca racconta che Miki trovò la forza di parlare dalla croce: «Non sono venuto per odiare nessuno, ma per annunciare l’amore di Dio».
Quell’episodio segnò una svolta decisiva. Nei decenni successivi la repressione si fece sempre più dura. Sotto lo shogunato Tokugawa da Edo (l’attuale Tokyo) arrivarono editti che vietavano ogni pratica cristiana, imponendo denunce e punizioni severe. Tra il 1603 e il 1873 – anno in cui i divieti furono ufficialmente tolti – si contarono almeno cinquemila martiri accertati, secondo i dati della Conferenza episcopale giapponese.
I Kakure Kirishitan: cristiani nascosti
Per secoli il cristianesimo sopravvisse solo nascosto. Nelle zone costiere intorno a Nagasaki nacque il fenomeno dei Kakure Kirishitan – i cristiani nascosti. In piccole case o grotte lungo la costa, intere famiglie tramandavano preghiere e simboli in segreto: una statuetta della Madonna camuffata da Kannon (divinità buddhista), un rosario fatto con semi di loto.
Tetsuya Nakamura, storico della Sophia University di Tokyo, spiega: «La fede veniva trasmessa oralmente. Non c’erano libri ma una memoria condivisa che passava di generazione in generazione». Ancora oggi nelle isole Goto o a Hirado qualche anziano conserva oggetti rituali risalenti a quei tempi.
Riconoscimenti e memoria
Solo nel 1873 il governo giapponese abolì ufficialmente i divieti contro i cristiani. Fu una svolta lenta: per anni rimase viva la diffidenza nelle comunità locali. Negli anni ’80 del Novecento, Papa Giovanni Paolo II visitò Nagasaki e Hiroshima sottolineando la forza dei fedeli giapponesi e il ricordo delle persecuzioni. Nel 2018, durante il viaggio di Papa Francesco in Giappone, i martiri tornarono al centro delle celebrazioni: «Sono semi caduti nella terra che hanno dato frutto nel silenzio», disse il Pontefice in un discorso trasmesso dalla NHK.
Ogni anno la comunità cattolica giapponese si ritrova il 6 febbraio sul colle Nishizaka. Piccole processioni con lanterne bianche attraversano la città vecchia. Tra i partecipanti anche discendenti dei primi convertiti: famiglie che portano ancora cognomi ereditati dai missionari portoghesi o spagnoli.
Un’eredità silenziosa
Oggi il cristianesimo in Giappone resta una realtà minoritaria: poco più dello 0,4% della popolazione secondo i dati del Ministero degli Interni nipponico (circa mezzo milione su oltre 120 milioni). Eppure la storia dei martiri è ancora parte del dialogo tra Oriente e Occidente, tra antiche diffidenze e nuove aperture. Le croci di Nishizaka sono un segno discreto – appena dietro le fermate del tram – che racconta una storia rimasta ai margini ma mai dimenticata dalle comunità locali.