Milano, 10 dicembre 2025 – In un’epoca di cambiamenti rapidi, il digitale non sta solo rivoluzionando i modelli di business delle industrie culturali, ma mette in discussione la stessa tenuta dell’immaginario collettivo. È quanto emerge dalle analisi condotte negli ultimi mesi tra Milano e Roma, dove operatori e studiosi si confrontano sui nuovi equilibri nella produzione e distribuzione del prodotto culturale.
Il digitale riscrive le regole della creatività
Negli ultimi dieci anni, piattaforme come Netflix, Spotify e i social network hanno stravolto l’accesso ai contenuti culturali: film, serie tv, musica e libri sono a portata di mano in qualsiasi momento. Questo flusso continuo, spiega il professor Giulio Baraldi dell’Università Statale di Milano, “ha creato nuovi modi di consumo, molto più veloci e meno legati alla fruizione collettiva dal vivo”. Non è un fenomeno solo italiano: a livello globale si assiste a una crescente omologazione dei gusti. Le piattaforme infatti suggeriscono contenuti in base agli algoritmi, non più alle tradizionali scelte editoriali.
Produttori, editori e autori si trovano quindi a navigare in un terreno che cambia continuamente. “Le storie si scrivono già pensando al loro potenziale virale”, racconta una sceneggiatrice al recente festival di Torino. Una logica che spinge verso una creatività attenta soprattutto all’effetto immediato, meno alla sperimentazione o al rischio. E proprio da questa tensione nascono alcune delle domande più forti nelle sale di produzione: chi guida davvero l’immaginario collettivo? E che spazio resta alla libertà creativa nell’era delle metriche digitali?
Filiere produttive in bilico tra innovazione e precarietà
Il modello produttivo tradizionale — autori, editori, cinema, teatri — viene scosso dall’arrivo di nuove figure: sviluppatori di software, analisti dei dati, gestori delle piattaforme digitali. Luisa Barbieri, direttrice di una casa editrice milanese, sintetizza così il cambiamento: “Oggi il nostro primo concorrente non è un altro editore, ma il tempo che le persone passano online”. Anche i processi interni si sono trasformati: per esempio nello sviluppo di un romanzo o nella produzione di un documentario spesso si fanno test pilota su piccoli gruppi online.
Ci sono vantaggi evidenti — pubblico vastissimo raggiungibile all’istante — ma anche ombre scure. Gli operatori del settore denunciano una crescente precarietà: contratti brevi, guadagni incerti e dipendenza dagli algoritmi delle piattaforme. L’ultimo rapporto SIAE pubblicato a novembre 2025 rivela che più del 40% degli autori under 35 fatica a sostenere progetti autonomi proprio per l’instabilità dei ricavi.
L’immaginario culturale sotto pressione
Non è solo una questione economica. Il vero nodo è la tenuta dell’immaginario culturale condiviso. Se prima cinema, teatro e librerie erano luoghi pubblici di dibattito e confronto, oggi la personalizzazione dei contenuti rischia invece di frammentare i riferimenti comuni. “La cultura digitale accelera il consumo ma riduce gli spazi per la mediazione”, ha spiegato ieri pomeriggio durante un seminario romano l’antropologa Marina Cattaneo.
A questo si aggiungono le preoccupazioni sull’impatto dell’intelligenza artificiale nelle scelte estetiche e narrative: algoritmi che selezionano titoli, copertine e perfino trame. Il risultato? Produzioni seriali su temi già popolari; molto meno spazio per storie fuori dai soliti schemi suggeriti dai dati.
Resistenze in gioco e nuove strade da seguire
Eppure nei laboratori delle grandi città come Bologna e Firenze si cerca di reagire. Piccoli editori e compagnie teatrali stanno provando formule miste: eventi dal vivo trasmessi online o narrazioni interattive che coinvolgono direttamente il pubblico. “Il digitale ci obbliga a cambiare pelle”, ammette Chiara Sani, curatrice della rassegna “Visioni future” a Firenze.
Non mancano dunque sfide ma anche opportunità concrete: accesso più facile a fonti d’ispirazione internazionali; nuovi linguaggi multimediali; crescita della domanda per prodotti di nicchia o locali che trovano visibilità anche fuori dai confini nazionali.
Solo allora potremo forse capire se questa rivoluzione digitale resterà nella memoria come una minaccia per la creatività oppure l’inizio di una nuova stagione per l’immaginario culturale italiano. Sul punto — tra Milano e Napoli — il dibattito resta aperto.