Don Giovanni Battista Sidoti: pellegrinaggio a Tokyo per il servo di Dio palermitano in causa di beatificazione

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28 Dicembre 2025

Palermo, 28 dicembre 2025 – Don Giovanni Battista Sidoti, nato a Palermo nel 1667 e morto a Edo (l’attuale Tokyo) nel 1714, torna sotto i riflettori grazie a una causa di beatificazione avviata dalla Chiesa cattolica. Sacerdote siciliano poco noto ai più, ma figura chiave nel dialogo tra Europa e Giappone all’inizio del Settecento, Sidoti riemerge dopo secoli di oblio.

Un sacerdote palermitano verso la beatificazione

In questi giorni, nella Cattedrale di Palermo dove fu battezzato, sono molti i fedeli che si soffermano davanti alla sua immagine. Don Sidoti era un uomo riservato ma determinato. Lasciò la Sicilia poco più che trentenne per una missione pericolosa: portare il Vangelo nel Giappone del periodo Tokugawa, dove il cristianesimo era vietato da decenni. A ricordarlo è padre Salvatore Grasso, parroco della Cattedrale: «Si sentiva chiamato a quella terra lontana, sapendo bene quanto sarebbe stato difficile. La sua fede era limpida».

Nel 1708 sbarcò vicino a Kagoshima in una notte tempestosa. Gli storici raccontano che il suo arrivo non passò inosservato: fu arrestato quasi subito dalle autorità locali, diffidenti verso gli stranieri. Da quel momento visse sotto stretta sorveglianza nella capitale Edo. Qui trascorse sei anni in isolamento, controllato da samurai. Eppure – dicono i documenti – non smise mai di pregare né di cercare un dialogo con i suoi carcerieri.

L’impatto culturale e umano

Le fonti dicono che Sidoti riuscì a farsi capire anche senza molte parole: qualche lettera in giapponese incerta, tanti gesti di attenzione. Durante la prigionia entrò in contatto con Arai Hakuseki, uno dei più importanti intellettuali giapponesi del tempo, incaricato dal governo Tokugawa di interrogarlo. In quei colloqui – riportati negli “Hakuseki Nikki” – si parlarono di fede e geografia, di Europa e Asia. Hakuseki annotò: «Il sacerdote di Palermo non chiese mai la libertà, solo il permesso di poter pregare».

Col passare degli anni, la figura di Sidoti ha continuato a vivere in Giappone: alcuni lo ricordano ancora come “il samurai cristiano”. In Italia invece il suo nome è rimasto chiuso nei libri di storia ecclesiastica. Solo recentemente, con l’avvio della causa promossa dall’Arcidiocesi di Palermo e dalla Congregazione delle Cause dei Santi, la sua storia è tornata sotto i riflettori.

La morte e il riconoscimento della Chiesa

Don Sidoti morì nel novembre del 1714 ancora prigioniero. Le cause esatte restano un mistero: forse malattia o stenti. Di lui restano lettere scritte in latino e alcune missive inviate alla Santa Sede in cui racconta il proprio stato d’animo – e la nostalgia per Palermo. Papa Francesco lo scorso settembre ha citato l’esempio di Sidoti ricevendo i vescovi siciliani in visita ad limina, parlando della “tenacia dei missionari che portano speranza anche dove sembra impossibile”. Parole riprese pochi giorni fa dal cardinale Francesco Montenegro: «Il processo canonico è un atto dovuto. Sidoti è simbolo di dialogo interreligioso e coraggio evangelico».

Il valore attuale della testimonianza

La strada verso la beatificazione sarà ancora lunga. Da qualche mese una commissione sta rileggendo atti e testimonianze dirette, soprattutto quelle che riguardano i rapporti tra Sidoti e la comunità cristiana giapponese nascosta all’epoca. Finora le voci raccolte lo descrivono come un “uomo mite ma fermo”, capace di restare fedele alle proprie idee anche davanti alla morte. A Palermo l’iniziativa ha acceso nuovo interesse sulla storia delle missioni: nelle scuole si parla dell’avventura del sacerdote palermitano; a San Domenico alcuni studenti hanno allestito una mostra con vecchie stampe giapponesi e lettere autografe.

Non si sa ancora quando si potrà parlare ufficialmente di “beato Giovanni Battista Sidoti”. Intanto qualcosa si muove: nella sua casa natale al Cassaro decine di candele sono state accese; una signora anziana entra piano e sussurra – “era uno dei nostri”. Segno che la memoria può tornare a vivere anche dopo secoli se trova storie vere cui aggrapparsi.

Don Sidoti, partito da Palermo con pochi compagni e arrivato solo a Edo sotto un nome straniero, resta per molti un raro esempio di incontro tra culture. Un ponte gettato tra due mondi lontani, in un’epoca in cui viaggiare voleva dire mettere tutto in gioco. Solo adesso la sua vicenda riceve l’attenzione che merita – fra studi storici e cammino verso gli altari – ricordandoci che la fede può attraversare mari interi e superare ogni confine.

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