Tokyo, 28 dicembre 2025 – Il Giappone tiene ancora a bada un debito pubblico che supera il 230% del PIL, una cifra che in posti come Washington, Roma o Madrid avrebbe già scatenato allarmi e tensioni finanziarie. Eppure, a Tokyo, nei corridoi della Banca del Giappone (BoJ) e nei caffè degli economisti locali, la questione si affronta con calma: nessuna corsa agli sportelli, nessun declassamento improvviso. Un equilibrio che stupisce gli osservatori esterni e si regge su alcuni punti fermi, poco noti al di fuori dell’arcipelago.
Un debito tutto giapponese
Il debito pubblico giapponese è arrivato a circa 1.250 trilioni di yen (quasi 8.500 miliardi di euro), secondo gli ultimi dati del Ministero delle Finanze. Una cifra enorme, cresciuta dagli anni ’90 dopo la bolla immobiliare e gonfiata dalla crisi del 2008 fino alla pandemia. Ma – come spiega Hiroshi Nakaso, ex vicegovernatore della BoJ – “la maggior parte dei titoli di Stato è in mano a giapponesi: banche locali, assicurazioni, fondi pensione”. Oltre il 90%, riporta l’ultima analisi dell’agenzia Nikkei. Questo è un dettaglio fondamentale: il debito “parla giapponese”, cioè dipende poco dai capitali esteri e dalle oscillazioni dei mercati internazionali.
La Banca del Giappone guida la scena
Negli ultimi dieci anni, la Banca centrale ha giocato un ruolo decisivo. Ha comprato enormi quantità di titoli pubblici con programmi di quantitative easing senza precedenti tra le economie avanzate. Dal 2013 – ricorda il governatore Kazuo Ueda – la BoJ detiene più del 50% del debito pubblico in circolazione. Questa mossa ha tenuto i tassi d’interesse a lungo termine molto bassi, dando respiro a ministeri e imprese. “Senza un’azione così decisa da parte della banca centrale, la situazione sarebbe molto più fragile”, riconosce l’economista Miyako Suda.
Risparmi domestici: una rete solida
Un altro aspetto spesso sottovalutato riguarda il comportamento delle famiglie. In Giappone, i cittadini continuano a risparmiare molto: secondo la Banca Mondiale, oltre la metà della ricchezza delle famiglie (il 54%) è investita in depositi bancari e strumenti sicuri. Questo flusso costante offre alle banche una base stabile per comprare i nuovi titoli emessi dallo Stato. Ma non solo: gran parte delle pensioni, delle assicurazioni e dei fondi comuni giapponesi reinveste proprio nei bond nazionali, creando un circolo virtuoso che “autofinanzia” il debito pubblico. Lo spiega bene Shigeru Miyao dell’Università di Nagoya: “È come se ogni giapponese prestasse qualcosa al proprio governo”.
Il ruolo insolito degli investimenti azionari
Negli ultimi anni, la BoJ ha adottato una strategia unica tra le banche centrali avanzate: compra direttamente ETF (fondi azionari quotati). Dal 2010 è diventata uno dei principali azionisti della Borsa di Tokyo – secondo il Japan Exchange Group detiene oltre il 7% dell’intero mercato azionario nazionale attraverso questi fondi. Questo intervento ha aiutato a sostenere i prezzi delle azioni e a mantenere alta la fiducia degli investitori nei momenti difficili. Una mossa che altrove avrebbe fatto discutere ma che in Giappone ha portato stabilità. “Il sistema funziona così: pubblico e privato camminano insieme per tenere fermo il mercato”, commenta Yuichi Kodama, chief economist di Meiji Yasuda Life.
I rischi ci sono eccome
Nonostante questa calma apparente – i tassi sui titoli decennali restano quasi allo zero e lo yen si mantiene stabile – gli esperti indicano alcune vulnerabilità importanti. L’invecchiamento della popolazione (il 30% ha più di 65 anni) mette in dubbio la tenuta futura dei risparmi interni. Inoltre, un aumento improvviso dei tassi globali potrebbe complicare il servizio del debito. Il Fondo Monetario Internazionale nel rapporto annuale di ottobre 2025 avverte infatti di “rischi nascosti per la sostenibilità fiscale nel medio termine”.
Un modello difficile da replicare
A Tokyo molti spiegano quasi con una scrollata di spalle che il caso giapponese non si può copiare altrove: “Nessun altro paese ha una popolazione così omogenea e disciplinata nel risparmio”, dice l’ex premier Naoto Kan in una recente intervista alla NHK. La fiducia fra cittadini, governo e sistema finanziario si è costruita negli anni ed è difficile da rifare altrove.
Per ora il Giappone resta un’anomalia studiata nelle università ma lontana dal far scoppiare crisi sui mercati: un debito alimentato dall’interno e una macchina pubblica che conosce bene ogni suo ingranaggio. Toccherà al tempo dire se questo equilibrio reggerà o se nuove turbolenze globali imporranno cambiamenti più bruschi.