Assofondipensione: Stop all’emendamento sul contributo datoriale, difesa della contrattazione collettiva

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14 Dicembre 2025

Roma, 14 dicembre 2025 – La decisione del governo di ridurre drasticamente lo spazio della contrattazione collettiva nel settore pubblico, annunciata ieri sera a Palazzo Chigi, ha scatenato reazioni forti da parte dei principali sindacati italiani. La scelta – ufficializzata con un decreto approvato in Consiglio dei ministri alle 19.30 – stabilisce che d’ora in poi le condizioni di lavoro più importanti e gli aumenti salariali saranno decisi per legge, limitando così la trattativa diretta tra lavoratori e governo. A spiegare la posizione delle sigle sindacali è stata oggi, poco dopo le 10, la segretaria generale della Cgil, Maurizio Landini: “È una decisione grave, che cancella il ruolo fondamentale del confronto tra rappresentanti dei lavoratori e governo”.

Nuove regole sul tavolo: la dura risposta dei sindacati

Nel testo della bozza del decreto si legge che il ministero della Pubblica Amministrazione avrà il potere di decidere “in modo unilaterale” su temi chiave come progressioni di carriera, orari, premi di produttività e voci accessorie dello stipendio. “Non si può accettare – ha detto Pierpaolo Bombardieri della Uil – l’idea di bypassare la contrattazione: è un principio sancito dalla nostra Costituzione e dalla storia democratica del nostro Paese”. Dal governo arrivano invece giustificazioni basate sulla necessità di “snellire le procedure e assicurare uniformità su tutto il territorio nazionale”.

La risposta dei sindacati non si è fatta attendere. Già ieri sera, davanti a Palazzo Vidoni, circa 400 lavoratori del comparto scuola e sanità hanno dato vita a un presidio con bandiere e striscioni: “Nessun passo indietro sui nostri diritti”, si leggeva su uno dei cartelli appoggiati al marciapiede. Presenti anche delegazioni delle federazioni regionali.

Cosa cambia per lavoratori e amministrazioni pubbliche

Fino a oggi la contrattazione collettiva nel pubblico impiego garantiva una certa flessibilità: molte questioni, dai turni alle indennità per rischio, venivano decise a livello locale, nei tavoli settoriali. Il nuovo decreto invece concentra tutto nelle mani del ministero, lasciando agli accordi integrativi solo pochi aspetti “minori”. I sindacati temono che così i diritti dei lavoratori finiscano compressi e che le esigenze specifiche delle singole realtà – scuole, ospedali e altri enti – passino in secondo piano.

“Con questo sistema si perde la possibilità di adattare le regole alle diverse realtà locali”, ha spiegato Luigi Sbarra della Cisl, raggiunto telefonicamente dalla nostra redazione alle 12.15. Dall’altra parte, la ministra Zangrillo difende la scelta come “necessaria per garantire tempi certi negli aumenti degli stipendi”. Secondo i tecnici del ministero, infatti, troppe trattative frammentate hanno rallentato l’erogazione degli ultimi rinnovi contrattuali.

Dietro la mossa del governo: risparmi e pressioni europee

Secondo fonti interne a Palazzo Chigi, dietro questa mossa c’è anche la volontà di rispondere alle richieste della Commissione europea sul controllo della spesa pubblica. Nella relazione tecnica allegata al decreto si parla di un risparmio stimato intorno ai 200 milioni di euro all’anno grazie all’adozione di tabelle salariali uniformi su tutto il territorio. “Siamo convinti che sia una strada obbligata”, ha dichiarato in conferenza stampa il sottosegretario all’Economia Federico Freni. “E allo stesso tempo nessun diritto già acquisito sarà toccato”.

La tensione resta però alta tra chi vede un rischio concreto di isolamento per i sindacati e chi spinge sulla necessità di mettere ordine. Stamattina diverse federazioni hanno convocato assemblee straordinarie nelle principali città – da Milano a Napoli, passando per Firenze e Bari – per sentire l’umore tra gli iscritti. Da via Po fanno sapere che “nessuna ipotesi di sciopero è esclusa”.

Lo scontro parlamentare e i prossimi passi

Il decreto ora dovrà passare l’esame delle commissioni parlamentari, che potrebbero chiedere modifiche soprattutto sulla partecipazione dei sindacati alle trattative. Una battaglia politica destinata a scaldarsi nelle prossime settimane: all’opposizione diversi deputati hanno già annunciato emendamenti per rimettere almeno in parte in piedi la vecchia forma della contrattazione integrativa.

Insomma, il confronto è appena cominciato. Nei corridoi della Camera questa mattina intorno alle 11.45 l’atmosfera era tesa: “Non è solo una questione sindacale – ci ha confidato un parlamentare Dem –, qui si gioca la tenuta stessa del sistema pubblico”. Nel frattempo sui social si moltiplicano le reazioni di lavoratori e cittadini. E già nei prossimi giorni sono attesi nuovi presìdi davanti alle sedi istituzionali: primo appuntamento fissato a Roma, lunedì alle 9 davanti al Ministero della Funzione pubblica.

Il dibattito resta acceso. E sullo sfondo — tra decreti ufficiali e voci sempre più contrastanti — resta aperta una domanda cruciale: quale sarà davvero il futuro spazio della contrattazione tra Stato e dipendenti pubblici?

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