Milano, 13 dicembre 2025 – Un conto salato per imprese e salute pubblica: infortuni sul lavoro e malattie professionali hanno fatto spendere all’Italia fino a 750 milioni di euro e provocato 15 milioni di giorni di malattia nell’ultimo anno. È quanto emerge dai dati diffusi oggi dall’INAIL. Numeri che, tra aziende e lavoratori, restano più o meno gli stessi degli anni scorsi, ma che spingono a riflettere sulle misure di prevenzione e sull’efficacia delle tutele nei posti di lavoro.
Quanto costano davvero infortuni e malattie professionali
Il rapporto dell’INAIL, presentato stamattina durante un convegno alla sede romana di via IV Novembre, parla chiaro: il costo totale degli infortuni e delle malattie legate al lavoro si aggira attorno ai 750 milioni di euro l’anno. Una cifra che include gli indennizzi pagati agli infortunati, le spese per la riabilitazione e i danni legati alla perdita di produttività. “È un peso economico e sociale che il Paese non può più sostenere”, ha detto con fermezza la presidente INAIL, Francesca Maione, davanti a sindacalisti ed esperti.
Le giornate di lavoro perse: un duro colpo per le aziende
Sul piano pratico, le assenze per infortuni o malattie professionali hanno toccato circa 15 milioni di giornate lavorative perse negli ultimi dodici mesi. Quasi il doppio rispetto alla media dei primi anni Duemila. A pagare il prezzo più alto è la manifattura, seguita da costruzioni e agricoltura. Per molte imprese questo significa ritardi nelle consegne, perdita di competenze e difficoltà a sostituire i lavoratori specializzati. “La produzione ne risente parecchio”, commenta Claudio Marchisio, responsabile sicurezza della Filctem-Cgil Milano. “E sono spesso le piccole aziende quelle messe peggio”.
Prevenzione: ancora molto da fare
Anche se i numeri sono stabili rispetto al passato, il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro resta delicato. “Gli incidenti mortali stanno calando, ma finché le denunce restano tante non possiamo cantare vittoria”, osserva Mario Bertolini, dirigente medico del Policlinico di Milano, durante una tavola rotonda sulle buone pratiche aziendali. Solo alcune aziende investono davvero nella formazione sulla sicurezza. Molte piccole e medie imprese invece continuano a sottovalutare rischi e obblighi. “C’è un problema culturale”, ammette Bertolini, “ma anche una questione economica: prevenire richiede tempo e soldi che non sempre ci sono”.
L’altro volto della sicurezza: i timori dei lavoratori
Tra i lavoratori c’è un misto di consapevolezza e paura. Da una parte crescono le conoscenze sui propri diritti; dall’altra resta forte il timore di ritorsioni o licenziamenti se si denunciano condizioni insicure. “La sicurezza è importante, ma spesso si teme il posto se si fa troppo rumore”, confida Maurizio R., operaio 53enne di Cinisello Balsamo. Racconta che le segnalazioni vengono spesso viste come fastidio dalla dirigenza. I sindacati chiedono strumenti più efficaci per tutelare chi parla: “Bisogna rendere più sicure le denunce anonime e garantire protezione reale”, dice Raffaella Spadoni della Uil Lombardia.
Guardando avanti: tecnologia e incentivi
Mentre il Governo sta valutando nuovi incentivi per la prevenzione – come sgravi fiscali per le aziende più virtuose o fondi per aggiornare i macchinari –, cresce l’interesse verso tecnologie avanzate: sensori da indossare, piattaforme digitali per segnalare rischi e sistemi predittivi basati su intelligenza artificiale. “Questi strumenti possono tagliare drasticamente gli incidenti”, spiega Francesca Maione. Però servono formazione diffusa e maggiore coinvolgimento dei lavoratori.
Solo così si potrà sperare davvero di abbassare quei numeri che da anni pesano come un macigno su imprese e famiglie italiane: 750 milioni di euro in danni e 15 milioni di giorni persi restano una ferita aperta nel mondo del lavoro. E mentre i riflettori restano puntati sulle cifre ufficiali, la partita sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è tutt’altro che chiusa.